Tra le testimonianze di questo convegno mi ha piacevolmente colpita quella presentata dai coniugi Stanislaw e Ludmila Grygiel. Lui docente di antropologia filosofica presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II mentre la moglie è una storica e saggista. Una coppia con diversi anni di matrimonio alle spalle (45 se non ricordo male), origini polacche, per lungo tempo amici dell’allora cardinale Karol Woityla di cui hanno raccontato le preoccupazioni che nutriva soprattutto nei confronti dei giovani, invitandoli sempre a riflettere sulle domande di senso della vita, soprattutto in riferimento all’uomo.
Per quanto riguarda il contributo del professor Grygiel mi ha attratto la sua affermazione che “la società moderna non pensa!” Seguendo il suo ragionamento infatti la società non pensa perché non sa domandare, non sa domandare perché non sa aspettare la risposta anzi confonde il domandare con il mettere tutto in dubbio. Quindi la società moderna non conosce il dono della risposta e così ognuno si sforza di sopravvivere come può cercando di essere autosufficiente!
Da qui il professore si è lanciato in una dissertazione sul dialogo come scambio del dono di sè stessi, non solo nelle relazioni intime, ma anche nelle amicizie. Anzi proprio perché l’amicizia è la scuola dell’amore, un amico che tradisce ruba, perché si porta via, quella parte di me che gli era stata donata! In uno dei suoi libri “Dolce guida e cara” edito da Cantagalli, Stanislaw Grygiel si chiede: “Perché la società si sta disgregando nel relativismo individualista? Per la mancanza di conoscenza del dono... principio delle relazioni interpersonali che escludono il relativismo individualista”. Dovrò leggerlo!!
Ludmila si è soffermata ad esaminare più da vicino come si presenta la famiglia nella nostra società, quali sono le cause di crisi evidente del nostro tempo e come viene trattata la famiglia dallo Stato. Importante secondo la signora Grygiel è la necessità per la famiglia di conservare la memoria, tramandare le tradizioni che sono a fondamento della nostra cultura, perché difficilmente si può comprendere appieno la famiglia solo guardando il presente, si deve tener conto che per farlo c’è bisogno di prendere in esame anche lo spazio tra le generazioni. Inoltre tener viva la memoria aiuta a non essere preda di idoli fugaci, ma... per quanto riguarda le famiglie italiane, sono in grado di coltivare la propria storia e memoria?
La domanda finale posta da Ludmila mi mette effettivamente in difficoltà. Così su due piedi non saprei rispondere. Mi verrebbe da dire subito di no essendo tendenzialmente pessimista, ma in questi tre giorni ho avuto la fortuna di ascoltare molte testimonianze di famiglie che si adoperano ogni giorno per far conoscere ai loro figli la bellezza della vita famigliare. Voglio immaginare che, benché sia la mancanza di tempo il nostro maggior nemico, queste famiglie sappiano trasmettere ai figli tutta la bellezza e la gioia di essere insieme nel mondo protagoniste attive del presente e speranza per il futuro grazie anche a chi le ha precedute.
Stefania Ridolfi
Bussolengo, 29/11/2011
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