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CNF2021 - Forum: lavoro e parità di genere

IL TEMA DEL LAVORO IN UN'OTTICA DI PARITÀ DI GENERE

Contributo dott.ssa EMMA CICCARELLI
(Forum delle Associazioni Familiari)

Benché il cambiamento sociale e culturale in atto da oltre 50 anni ha comportato una presenza femminile sempre più rilevante nel mercato del lavoro, in Italia, tale presenza non ha ancora raggiunto gli standard lavorativi degli altri paesi europei. La sfida è importante, in quanto sancirebbe una effettiva valorizzazione dell'apporto femminile nel mondo del lavoro, ed un affrancamento della donna da atavici retaggi culturali.

Le donne che lavorano in Italia purtroppo sono ancora una percentuale non soddisfacente, ancora di meno quelle che occupano posti di responsabilità e apicali nelle aziende.

D'altronde, l'effettiva carenza di adeguati strumenti giuridici di tutela e di servizi di supporto alla maternità è ricaduta a detrimento per lo più della scelta lavorativa della donna oltre che far crollare inesorabilmente il tasso di natalità. Al riguardo infatti, i dati Istat riferiscono che "il tasso di occupazione dei padri di 25-54 anni, classe di età in cui è più alta la presenza in famiglia di figli di 0-14 anni, è l'89,3% mentre per gli uomini senza figli coabitanti è pari all'83,6%.

Situazione opposta per le donne, che risultano penalizzate: il tasso di occupazione delle madri di 25-54 anni è al 57%, quello delle donne senza figli coabitanti è al 72,1%. I tassi di occupazione più bassi si registrano tra le madri di bambini in età prescolare: 53% per le donne con figli di 0-2 anni e 55,7% per quelle con figli di 3-5 anni" (1). Peraltro, rileva il documento, che "ricorre all'uso dei servizi solamente il 38% dei nuclei familiari in cui entrambi i partner sono occupati, e nel 24,6% dei casi l'utilizzo dei servizi è affiancato al supporto dato da parenti o amici [...] I nuclei familiari dove non ci si avvale di servizi né dell'aiuto di familiari sono il 48%, tra questi il 37% dichiara di occuparsi da soli e/o con il partner della cura dei figli". (2)

La promozione di forme flessibili di esecuzione del lavoro, l'estensione dell'accesso ai congedi parentali ai lavoratori padri ed ogni iniziativa in favore della conciliazione tra il lavoro e la vita familiare sono provvedimenti necessari per abbattere le barriere che ancora ostacolano l'occupazione femminile, ma non bastano, non sono sufficienti.

Le ragioni della differenza di occupabilità tra uomini e donne, sono anche dovute ad una serie di criticità di
cui è importante tenerne conto:

   a) Una impostazione del lavoro costruita prevalentemente su un modello maschile di prestazioni.

   b) Il gap salariale tra uomini e donne continua a rimanere troppo ampio. Ciò, rimane elemento demotivante e poco appetibile di fronte ai sacrifici che invece le donne fanno per gestire anche iltempo della maternità.

   c) La maternità non viene ancora percepita a livello culturale come servizio degno di adeguata tutela e di investimento per il paese. Persiste ancora, malgrado la legislazione vigente, una prassi nel mondodel lavoro che tende a ostacolare la carriera delle donne che dedicano parte della loro vita lavorativaalla cura dei figli, in alcuni casi è lo stesso ambiente lavorativo ostile che mette nella condizione le donne di rinunciare al lavoro. Tuttavia alcuni studi rilevano come il periodo di maternità sia considerata una fase di acquisizione e perfezionamento delle soft skills.

   d) Le donne che affrontano la maternità sono consapevoli che è una strada il cui la gran parte degli oneri economici ed educativi sono a loro carico. Per questo spesso preferiscono rinunciare a lavoro fisso con orari rigidi ed optare per forme con minori garanzie e con maggiore flessibilità, quali i lavori precari o il lavoro autonomo o addirittura il lavoro nero.

   e) Una buona parte delle donne italiane, con la nascita dei figli, sono più propense ad abbandonare il posto di lavoro, sia perché ritengono prioritario il servizio di cura dei propri figli sia perché, a conti fatti, se il loro stipendio viene assorbito completamente per pagare i servizi di cura dei propri figli (nido, asilo, baby sitting, attività sportive o educative,ecc.) non ritengono più vantaggioso lavorare rispetto al fatto di consegnare la cura dei propri figli in mani estranee. Il costo vantaggi/benefici si azzera di fronte alla priorità del servizio materno.

   f) Dai dati Istat riportati si può notare che i tassi di occupazione più bassi riguardano le madri con bambini in età prescolare: questo molto spesso viene motivato con il fatto che l'offerta di servizi per quella fascia di età dei bambini è ancora inadeguata o male organizzata (decisamente carente in alcune regioni oppure, laddove presente, non è un servizio di prossimità o poco sostenibile
economicamente). Sussistono però anche ulteriori motivazioni che non vengono prese in considerazione, ossia:
      - che i servizi all'infanzia - anche quelli pubblici - hanno comunque un costo che incide sensibilmente sul bilancio familiare;
      - che tante neomamme preferiscono stare vicino ai loro figli nei primi 1000 giorni di vita in quantorisultano essere quelli più delicati ed importanti per l'apprendimento e per consolidare relazioni di adeguato e attaccamento mamma-bambino.

   g) Ancora esiste un forte atteggiamento di delega alle donne delle incombenze domestiche da parte del
mondo maschile. È un tema culturale che investe anche il campo educativo.

   h) Lo smartworking è una modalità lavorativa da incentivare soprattutto alla luce della positiva sperimentazione forzata fatta durante la pandemia Covid19.

   i) La piramide demografica italiana ci riflette inoltre una forte anomalia dovuta al crollo delle nascite e ad un significativo incremento delle persone anziane. La conciliazione famiglia-lavoro deve pertanto prevedere forme di flessibilità con congedi o astensioni adeguate anche per lavoratori e lavoratrici che devono farsi carico della cura di genitori e familiari anziani.

   j) La strutturazione del lavoro rimane ancorata a canoni maschili, inoltre è ancora scarsa l'attenzione al fatto che il servizio di cura ai figli in senso puramente materiale, impegna i genitori in media almeno 12 anni. Tempo che si allunga se i figli sono più di uno.

   k) Le donne casalinghe non sono donne di serie B o non emancipate purché ciò sia frutto di una libera scelta della donna e non conseguenza di impossibilità a trovare lavoro. Le donne che scelgono la vita casalinga infatti, svolgono un lavoro domestico e di cura che se quantificato in termini di PIL sarebbe un valore significativo. Il raggiungimento della piena emancipazione delle donne non si raggiunge con la piena occupabilità lavorativa delle donne, ma nel mettere le donne nelle condizioni di scegliere.

La normativa intervenuta nel corso dell'ultimo ventennio che ha introdotto, e progressivamente esteso, le misure relative ai congedi di maternità e di paternità, ai congedi parentali per la cura dei figli, ai congedi per malattia del figlio, alle banche ore, a tutela della maternità e della paternità in ambito lavorativo, costituisce certamente un punto cardine in materia; tali misure, per contro, non risultano da sole idonee a compensare le emergenti esigenze di un bilanciamento tra lavoro e famiglia. E' emersa quindi la necessità di prevedere specifiche misure che siano volte sia all'abbattimento dei costi sostenuti dalle famiglie per i carichi di cura, sia volte a coinvolgere le imprese nella creazione di soluzioni che favoriscano la conciliazione dei tempi lavorativi e di cura familiare.

Abbattere tali barriere comporta la necessità di instaurare un equo riequilibrio dei carichi di cura familiare.

-----note----------

(1) Fonte: Report Istat "Conciliazione tra lavoro e famiglia/anno 2018" pubblicato il 18 novembre 2019, p. 4.
(2) Fonte: Report Istat cit., pagg.9 e 10.

 

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