Crescere nella cura reciproca!
Dall'Intervento di Chiara Giaccardi a Immischiati Milano sul tema della sussidiarietà, che si esplicita concretamente nella CURA.
Ho vissuto la serata di Immischiati a Milano, del 25 febbraio 2025, come volontaria e mi ha particolarmente colpito l'intervento di Chiara Giaccardi (Professoressa di Sociologia dei processi culturali presso l'Università Cattolica di Milano) sul tema della SUSSIDIARIETÀ, che si interseca con quello della SOLIDARIETÀ e vede la sua dimensione concreta nella CURA, nel caso specifico il prendersi cura delle fragilità.
Vi riporto l'analisi etimologica della parola cura come è stata illustrata al pubblico in sala durante la serata, perché conoscere in profondità il significato di questa parola mi ha fatto riflettere sul mio ruolo di Presidente nel prendermi cura della nostra associazione.
Dal latino "Cor Urat" cura significa scalda il cuore e per scaldarsi bisogna starsi vicino, toccarsi.
Dall'etimologia sanscrita "Ku" significa vedere. E dalla prospettiva della cura si vedono cose che sarebbero invisibili e ancor di più si osservano persone che altrimenti sarebbero invisibili ai nostri occhi. L'invisibilità è l'anticamera della cultura dello scarto e, nel tempo, produce anche scarti umani.
Dall'etimologia greca "Epimeleia" significa tre cose: attenzione, sollecitudine e impegno. Per far uscire dall'invisibilità devo infatti prestare attenzione, concentrarmi su qualche cosa e meglio ancora su qualcuno. La sollecitudine è la dedizione rispetto ad un progetto verso il quale ho prestato attenzione. L'impegno infine è la dimensione politica della cura. Tre parole legate tra loro e che esprimono tre azioni concrete della cura che è un modo di stare nel mondo, di coinvolgersi e immischiarsi nel mondo!
L'altra dimensione concreta nel vivere la solidarietà, che deriva da solidum (intero, solido, un corpo sociale) sta nella libertà. Nella solidarietà la libertà non è prendere ma partecipare e portare una parte di noi per il bene comune. Si tratta di una libertà contributiva e creativa perché nessuno è così povero da non avere idee, da non poter donare qualcosa di sé.
Il caro Prof. Stefano Zamagni mi ha aiutato invece a far discernimento, a riscoprire il principio del dono e della reciprocità. Il dono che è relazione interpersonale, crea coesione sociale, fa sentire l'altro un fratello. La forma più alta della carità non è il dare, ma consentire al povero di DONARE! (anche solo un sorriso, una parola di conforto reciproco): io sento che spesso vivo l'associazione più come un "mezzo filantropico" di fare del bene - che come un luogo dove dialogo con i presidenti delle Afi locali - alcuni non ho ancora avuto modo di conoscerli personalmente e la cosa mi dispiace. La conoscenza è sicuramente la prima modalità per prendersi cura: per stare vicino, vedere, prestare attenzione, dedizione e impegno nei confronti di Afi.
Sempre il Prof. Zamagni dice che i membri di una "buona" associazione basano le relazioni sulla reciprocità: la reciprocità è un dare senza perdere e un prendere senza togliere. Senza logica del dono ognuno cerca di sfruttare i beni comuni e quelli relazionali a danno degli altri. E questo porta all'infelicità del singolo e della comunità. Solo la reciprocità fa fiorire le associazioni. Noi sentiamo questa reciprocità nella nostra associazione? In famiglia quando do qualcosa ai miei figli non sento di perdere qualcosa (non contabilizzo) e credo di avere lo stesso atteggiamento quando dono il mio tempo per Afi.
Infine, nel prenderci cura della nostra associazione dobbiamo trasformare le attività di Afi in un'opera: la differenza è sottile, ma l'attività è un'azione umana che trasforma l'oggetto, mentre l'opera non solo trasforma l'oggetto ma anche il soggetto che la compie. In poche parole l'opera fa fiorire.
Sono piccoli suggerimenti che do in primis a me stessa, ma sui quali chiedo a tutte le nostre Afi locali e ai nostri soci di riflettere: condividere questi valori ci aiuterà sicuramente a crescere nella cura reciproca!
Luigia Caria
Presidente nazionale Afi