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Perché non si fanno più figli?

Se la domanda appare lineare, netta, la risposta non può esserlo altrettanto.

 

Per chi, come me, ha già vissuto abbastanza per vedere come è andato il mondo nell’ultimo cinquantennio, si prova un forte dolore al cuore e non mi basta sentir dire che è per questo motivo oppure è per un altro che non si fanno più figli. La verità è che abbiamo modificato tutto di noi stessi. L’antico imprinting non è uguale all’attuale. Semplicemente ricordo che da ragazza e poi da giovane sposa, tra l’altro ancora senza lavoro, era naturale pensare ad avere un figlio, magari due; lavoro, carriera, appartenevano ad un’altra sfera e comunque erano aspirazioni secondarie anche se importanti. Era naturale progettare insieme di avere dei figli, così come era già stata la condizione delle nostre famiglie d’origine.

Oggi mi accorgo che non è più così e, malgrado tutti i confort, seppur si decida di fare un figlio, sarà solo uno, due sono troppi, per la paura stessa di non sapere come  gestirne un altro. I numeri sulla convivenza di coppia hanno superato quelli del matrimonio; sintomo di una precarietà non solo economica, ma anche affettiva. Allora credo che il problema è molto più ampio di alcuni dati oggettivi, ricerche di “mercato”, per cui non si fanno figli per problemi economici o per mancanza di servizi a supporto, ecc.

Da poco ho sentito uno slogan che dice che siamo più in emergenza demografica che non in emergenza democratica. Eppure sono convinta che la nostra società modificata nel senso dell’individualismo ci porta a una condizione che unisce ambedue i concetti.

Viviamo in un tempo in cui prevale la fretta, siamo sempre di corsa; di conseguenza è importante anche la gratificazione immediata, la felicità individuale, svilendo i grandi ideali di cui le nostre famiglie erano portatrici. Prevalgono politiche di difesa della propria vita individuale, marginalizzando le politiche di solidarietà. La fiducia nell’altro è messa al bando e la paura domina il nostro quotidiano. A questo aggiungiamo i continui spostamenti a causa del lavoro, per cui i legami affettivi diventano un miraggio, un’impresa a dir poco virtuale (tra l’altro con i supporti dei nuovi strumenti telematici), con notevoli difficoltà non solo nel mantenere le amicizie di sempre, ma anche a tenere uniti i legami di coppia.

Oggi vediamo la donna in carriera e non più la regina del focolare domestico. Avere un figlio è un impegno a lunga scadenza che mal si concilia in un contesto di questo tipo. Un tempo i bimbi si educavano ad essere cittadini responsabili e al senso dell’appartenenza. Magari potessimo dire che i nostri figli e i nostri nipoti si sentono appartenenti al mondo, nell’era della globalizzazione. Purtroppo non è così! Il consumismo esasperato ha trasformato noi e quindi i nostri figli in specialisti dei beni di consumo e il mondo è visto soprattutto in quest’ottica.

La domanda ritorna in un’altra forma. Perché fare figli?

Penso che dovremmo capire tutti come e dove fermarci: presso noi stessi, riconquistando il piacere delle nostre emozioni, attraverso lo specchio della nostra anima, sconfiggendo la paura di esprimerle che ci confonde dentro. Da questo si dovrebbe ripartire per dare linfa alle nostre radici e ricondurre il sistema relazionale e valoriale alla dignità della persona umana.

Alimentare con le nostre associazioni il modello familiare è l’input da cui nessuna società può prescindere. Ricordo il nostro motto ”Come va la famiglia così va il mondo”.

Dunque ben vengano le iniziative di sostegno ai genitori e quelle relative all’impegno, che l’Afi e il Forum tengono a tutti i livelli di partecipazione, riguardanti le politiche familiari nel loro insieme.

Non possiamo (e non dobbiamo) ritornare alla società di un tempo, tuttavia è necessario riuscire a lanciare, con l’esperienza, nuovi stili di vita, in grado di generare una società moderna, anche tecnologica, ma prima di tutto umana, in cui il valore dell’altro sia prevalente per ispirare nuovi modelli di solidarietà e di socialità.

 


Conce Florio - Afi Augusta

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